RECORD, FATICA E MEDAGLIE PER UN BRAVO CHE NON ARRIVERA’ MAI
Matteo fa il portiere, ha deciso di essere l’ultimo uomo, silenzioso, quasi invisibile, ma anche colui che può cambiare le sorti di un’intera partita, nel bene e nel male.
Matteo ha 16 anni. Una famiglia separata, un padre narciso, imprenditore e dominante, incapace di pronunciare le parole dell’anima, “grazie”, “ti voglio bene”, “sono fiero di te”, “scusa”. La mamma di Matteo è perfetta per le patologie del marito e le cui patologie si incastrano perfettamente con le sue.
Padre carnefice e madre vittima dicono i manuali.
Padre anaffettivo che ovviamente lo è anche con la moglie e che diventa a sua volta una madre triste e frustrata che ha bisogno di affetto e che lo ricerca facendo squadra con il figlio, alleandosi con lui contro il padre.
Matteo diventa padre e amante della madre, da bambino diventa adulto senza passare dal via e senza prendere i 20€, perché d'altronde ha fatto solo il suo dovere e non se li merita.
Matteo arriva sempre puntuale, anzi, con 10 minuti di anticipo, aspettando fuori per non disturbare, per non farsi vedere ansioso e insicuro, Matteo che casualmente c’è sempre. E’ l’amico perfetto, va bene a scuola, non mente mai, ma non è mai sincero, vuole essere abbracciato ma non sa starci nell’abbraccio, teme la vicinanza ed è terrorizzato dalla distanza.
Matteo è sempre in purgatorio. Non mostra mai il suo inferno e non gode mai del paradiso.
Matteo si vergogna del padre, piccolo, arrogante schiavo delle cose e dei numeri. “sei ciò hai”! “potevi fare di più”, “tutto qua?”, “il secondo è solo il primo dei perdenti!”.
Matteo vuole essere diverso. Si contiene per non essere come il padre, figura che detesta, teme e dalla quale brama un po’ di stima e affetto.
Matteo vive consciamente e inconsciamente tutta la sua esistenza con la speranza che il padre gli dica “BRAVO!!!!”, “SONO FIERO DI TE!!!”, parole che non arrivano mai…e allora Matteo si impegna ancora di più, arriva ancora prima, esce per ultimo dagli allentamenti, spera di conquistare la stima dell’allenatore e si distrugge quando viene sostituito in partita o non compie un’azione perfetta ai suoi occhi.
Ma tanto perfetto non lo sarò mai. Avrebbe sempre potuto fare meglio. Potevo fare di più. Non valgo niente, sono un FALLITO.
Matteo non è mai sé stesso, ma non lo sa. Si sente buono, cerca di essere buono, di non deludere, di fare SEMPRE la cosa giusta. Matteo ha paura del suo istinto, di lasciarsi andare, di amare, di distruggere.
Matteo piange di notte e sorride di giorno. Va a casa degli amici e si chiede come mai i loro padri sono più affettuosi, presenti, perché lui li veda sugli spalti per vedere i propri figli, mentre suo padre non c’è mai.
Matteo crede che se il padre è così è perché non fa abbastanza. Spera che imitandolo riceverà un giorno la sua stima, il suo amore.
Matteo è una prostituta d’amore. Ha imparato che per essere amato deve fare. Sempre. Non vale un amore gratuito. E’ degno di amore a condizione “che”.
Matteo è attratto da ragazze dure, che lo snobbano un po’, è sempre in rincorsa affettiva. Non vede chi lo ama e rincorre chi lo evita. Ama chi gli dice “ti voglio bene…però”…
Si innamora di quel “però”, della speranza che con il suo sacrificio lo estirperà dal cuore della sua amata, tanto da sentire un giorno “TI AMO”. PUNTO.
Matteo non perde mai il controllo, non ride troppo, non beve troppo, non balla in pubblico, piange di nascosto, digerisce male e ha sempre il mal di schiena.
Matteo odia la madre, perché la sente responsabile di avergli dato un padre così, e la odia per non averlo fatto sentire difeso, anzi, per essersi sentito usato come scudo, padre e amante.
Matteo diventa un campione. Si ammazza di fatica e di sacrificio, sperando che applauso per ogni sua parata possa sostituire almeno per un secondo un bravo del padre.
Così Matteo diventa ossessionato dal calcio, dal proprio ruolo, dalla competizione con sé stesso, dal controllo emotivo, dalla speranza inconscia che prima o poi arriverà quel bravo, andando in seri C, in serie B e poi in serie A.
Ma tanto la sere A di oggi non è la serie A dei tempi del padre. Ora si che è facile giocare, mica come ai suoi tempi. E allora Matteo si allena come un pazzo per essere bravo in ogni sport, ma solo gli sport di fatica e silenzio lo appagano dentro. Ciclismo, corsa, nuoto. TAS E TIRA diceva suo nonno. TACI E VAI.
Matteo cresce con la sensazione di essere un fallito, di essere sempre fuori luogo, di essere un impostore, di non valere abbastanza, MAI. Matteo diventa due persone. Uno esterno, buono, pacifico, gentile, e uno interno, contratto, furibondo, severo e giudicante.
Matteo è invidioso. Giudica tutto e tutti, ma è gentile fuori. E’ invidioso di coloro che critica, perché loro sanno lasciarsi andare, sanno dire ti amo, se la prendono poco, sanno perdonare, ridere, piangere, vivere.
Matteo è solo bravo, ma non è bravo davvero. E’ bravo per essere amato ed è furibondo quando non viene amato.
Non si arrabbia. Punisce le persone con il silenzio e la distanza emotiva. Si sente si inferiore, ma in realtà si sente dio per il suo controllo emotivo e mortifica chi è più leggero, spensierato, meno ossessionato dal dover far fatica.
Matteo dentro è come il padre. Ha solo imparato a fingere meglio per poter credere di essere diverso da lui.
Quanti Matteo ho visto in 20 anni.
Ad ogni olimpiade ne vedo migliaia, con maglie di mille colori diversi, che lottano 4 anni per un centesimo in meno, per 3 centimetri in più, per 2 medaglie in più.
Non conosco sportivo o qualcuno che non chiamiamo eroe o campione che ha avuto un rapporto sereno con il padre.
Stupidamente si potrebbe dire che questa cosa permette il raggiungimento di grandi obiettivi e record. Quei record che ci fanno venire la pelle d’oca, che ci fanno commuovere e urlare di gioia.
Credo fortemente che ci esaltiamo per le grandi opere altrui solo per un senso di immedesimazione e rivalsa. Fanculo, lui ce l’ha fatta, lei ce l’ha fatta. Ci ha vendicati un po’. Ha fatto ciò che io non sono riuscito o riuscita a fare. I loro genitori saranno fieri di loro, il loro allenatore è fiero di loro, ce l’hai fatta, nonostante tutto.
La nostra società è costruita su questa competizione, senso di rivalsa, vendetta, reattività e ricerca ossessiva d’amore e stima.
Come diceva un film meraviglioso degli anni 80 “WAR GAMES”, se il gioco è folle, l’unico modo per vincere è non giocare.
Caro Matteo, non ascoltare le vocine che hai in testa.
Tuo padre NON può dirti “ti voglio bene” perché dirtelo, lo costringerebbe a rivivere il dolore di non averlo mai sentito.
La vera vittima è tuo padre. Si è precluso la possibilità di sentirsi amato e di amare.
Senza PERO’.
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